...ci pensavo mentre venivo in ufficio...lei mi chiedeva che "fatica" (termine del sud per indicare un mestiere pesante e di produzione) e io le rispondevo, ad esempio, che fornivo un supporto alle aziende che sono in una fase di riorganizzazione o di cambiamento e che stanno ridisegnando le loro attività e i loro processi...insomma io le descrivevo il mio lavoro non la mia "fatica"...allora nonna ecco la mia "fatica": mi alzo ogni mattina alle sette meno dieci, mi metto in fila con altre migliaia di coglioni come me per arrivare in ufficio, poi una volta giunto in ufficio devo stare tutto il giorno (a volte senza neanche mangiare) delle minchiate che mi vengono propinate da "intellighenzie" varie, che ne sanno di vita reale quanto io di moda o di fissione nucleare o di vela, fare finta di ascoltarli, per poi risolvere i casini che hanno creato, quindi torno a casa alle otto, otto e mezzo, nove, nove e mezzo o oltre e vado al letto di solito più stanco di quanto fossi al mattino...kesta è la mia fatija...ma tanto so già cosa tu risponderesti: "nì, kessa nè fatija, zappà la terra secca e dura è na fatija, le vì le mean' c' r' cheall ch' teng', nì viat' a 'tte, mè cù iammecinne a d'rmì ca è notte"
martedì 24 marzo 2009
Che lavoro fai?...
..."nì ma tu che fatija fiè?", mia nonna me lo ha chiesto quasi fino all'ultimo momento, ho provato a spiegarglielo, con milioni di parole, di esempi, tutte le volte mi diceva: "ah agg' capit'", ma poi puntualmente ci ritrovavamo seduti vicino al fuoco, lei che fisssava le fiamme, si scaldava le mani piene di calli poi si girava verso di me e mi diceva "nì ma tu che fatija fiè?"...
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